L’Esposizione universale 2015, che per sei mesi ha tenuto Milano al centro dell’attenzione di tutto il mondo, ha chiuso i battenti.
Sono stati mesi in cui ognuno ha espresso la sua opinione su questa grande manifestazione, tra chi è andato diverse volte e chi si è rifiutato di andarci.
Ho sentito dire: “è stato un luna park”, “troppo commerciale”, “sembrava di essere all’Oktoberfest”, “non è possibile che per vedere qualcosa bisognava fare la coda”…
Ora, queste persone cosa pensavano di trovare? Sapevano cosa fosse esattamente un’Esposizione universale?
Lo scorso febbraio sono stata a una conferenza stampa in cui Giacomo Biraghi, digital PR di Expo Milano 2015 e autore del libro #Expottimisti, ha spiegato brillantemente cos’è Expo. Ve lo riassumo qui di seguito.
L’Expo universale è un format che appartiene alla famiglia dei parchi tematici. In questa famiglia ci sono quattro fratelli: i casinò, le crociere, i parchi divertimento e le esposizioni universali.
Questi quattro fratelli hanno tre caratteristiche comuni.
1) Hanno un’area accessibile con biglietto in determinati orari.
2) All’interno di quest’area ci devono essere centinaia di attrazioni. Ogni attrazione è divisa in tre parti: il 20% di spazio è dedicato alla coda; il 60% è il cuore della singola attrazione ed è rappresentato da un evento, un gioco o un’esperienza costretta nel tempo; l’ultimo 20% è dedicato alla parte commerciale, ovvero uno spazio dove ci sono bar, ristoranti, vendita di prodotti e merchandising.
3) Hanno un palinsesto con migliaia di eventi ripetuti nello stesso modo tutti i giorni.
Gli Expo universali si differenziano dagli altri tre fratelli per tre caratteristiche peculiari.
1) Hanno una durata temporanea (sei mesi) e al termine di questo periodo tutte le attrazioni devono essere rimosse.
2) Tutte le singole attrazioni e i singoli eventi non sono coordinati da un unico organizzatore, ma sono gestiti in autonomia con contenuti propri dai condomini di Expo (Stati, organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative, associazioni di settore, regioni, città metropolitane, partner multinazionali). Expo è l’unico grande evento che non ha un organizzatore e che permette a tutti i singoli condomini di dire quello che vogliono e come vogliono in forma di attrazione ed evento per famiglie con bambini.
3) Devono avere un tema di interesse mondiale.
Il tema di quest’anno è stato: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.
C’è una parte del mondo che spreca quotidianamente il cibo e che soffre di malattie causate da una alimentazione eccessiva e scorretta, e c’è un’altra parte che non ha diritto né accesso ad acqua e cibo. Grazie a una maggior consapevolezza da parte di tutti è possibile contribuire a ricreare il giusto equilibrio nel nostro pianeta.
Come detto sopra, il tema è stato affrontato in maniera differente dai vari partecipanti.
La Svizzera ha riflettuto sulla scarsità delle risorse alimentari nel mondo. Nel suo padiglione c’erano delle torri piene di acqua, sale, caffè e mele. I visitatori potevano prendere le quantità che desideravano di questi generi alimentari considerando però che i visitatori che sarebbero venuti dopo di loro potevano rimanerne privi.
L’Austria, ricreando una foresta, ho posto l’attenzione su un elemento importante per il benessere: l’aria.
L’Oman, uno dei paesi più aridi, ha spiegato come salvaguardare e tutelare una preziosa risorsa vitale: l’acqua.
Slow Food ha posto al centro la salvaguardia della biodiversità.
La maggior parte delle persone, me compresa, ha preferito aspettare gli ultimi due mesi per visitare Expo. A maggio e giugno giravano voci che non tutti i padiglioni erano conclusi e quindi molti hanno pensato di rinviare la visita. A luglio e agosto il caldo ha scoraggiato i visitatori e così molti si sono ritrovati a visitare Expo nell’ultimo periodo di apertura. Inevitabili quindi le code, soprattutto nei padiglioni più interessanti. I visitatori, infatti, hanno ben presto scoperto che la bellezza di un padiglione era inversamente proporzionale alla lunghezza della coda che si creava fuori di esso.
Diciamolo, per molti l’interesse di Expo è stato per la possibilità di provare specialità di cucine diverse. C’è chi non ha perso l’occasione di provare il tanto discusso coccoburger (l’hamburger di coccodrillo), chi è stato attratto dallo scorpione, chi ha optato per il lobster roll, chi ha preferito investire centoventi euro in un pranzo-performance al ristorante giapponese. Pare, infatti, che se si prenotava una cena nello stellato ristorante giapponese si era costretti a stare a tavola almeno tre ore e a seguire le performance di pulizia e presentazione dei piatti tra una portata e l’altra.
Expo è stato anche un tripudio di architettura e design. A guardare le mie foto di Expo vi potrebbe sorgere il dubbio che le abbia scattate alla Biennale Architettura.
E ora lascio spazio a qualche mia impressione dei due giorni di visita.
Appena entrata a Expo, sono stata accolta da una pioggia scosciante. Per ripararmi mi sono precipitata nel primo padiglione senza coda che ho trovato: l’Irlanda.
Dopo un minuto ho deciso che era meglio non perdere altro tempo là dentro e sono andata in Sudan: improvvisamente mi sono trovata alla fiera degli Oh bej! Oh bej!
Presa dallo sconforto, ho preferito mettermi in coda sotto la pioggia e tentare di entrare in Brasile. Dopo cinque minuti di attesa ero sulla famosa rete ad affrontare il percorso poco stabile che ogni giorno attraeva migliaia di persone. Sono uscita dal Brasile con il sorriso e il sole.
D’obbligo la tappa al Padiglione Zero. Ero curiosa di vedere il mio video How Italians eat pizza nella video installazione di seicento metri quadri, ma purtroppo in quel momento sul digital wall c’era un’altra proiezione. Per me è stato il padiglione più interessante perché ha introdotto la visita a Expo e ha portato a riflettere sul tema della manifestazione “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.
Poi un giro nel paese del cioccolato, il Belgio.
La coda più lunga che ho fatto (quaranta minuti) è stata per entrare nel padiglione della Corea del Sud, ma ne è valsa davvero la pena. Sono entrata con tre domande, sono uscita con tre risposte e salutando con “annyeonghanseyo”.
Poi una sosta sulle altalene di legno dell’Estonia.
Il padiglione dell’Austria è stato apprezzato per lo più da persone che vivono in città e che probabilmente non hanno mai visto un bosco: si veniva accolti, infatti, in un percorso di alberi e piante con una fresca temperatura. Per me è stato un bel posto fresco dove sedermi e gustarmi una fetta di torta Sacher in mezzo alla vegetazione.
Il padiglione della Francia è stato, secondo me, il più scenografico.
Avrei senz’altro apprezzato di più l’enorme alveare del Regno Unito se l’avessi visitato di sera al buio.
Della Spagna mi sono piaciuti gli effetti di luce, le pareti ricoperte con centinaia di piatti e le proiezioni dei prodotti tipici spagnoli sui piatti stessi.
Poi sono entrata nel padiglione dell’Ungheria ed è stato come andare a un concerto per pianoforte.
La Russia è stato il padiglione dove, paradossalmente, ho preferito stare in coda a cercare di trovarmi nell’affascinante struttura specchiante posta sopra l’entrata piuttosto che entrare.
Poi ho fatto un salto al luna park dell’Olanda.
Gli Stati Uniti d’America hanno presentato il loro Food 2.0 con un percorso di video proiezioni. Ma la terrazza del padiglione è stata forse più interessante grazie alla bella vista sul sito espositivo.
È stata quindi la volta dell’Iran: sono entrata e mi sono trovata in mezzo a un vivaio.
Il padiglione dell’Oman era molto invitante dall’esterno, ma dentro è stato un po’ deludente. Quei manichini su cui venivano proiettati i volti di persone che parlavano li ho trovati abbastanza inquietanti.
Suggestiva la ruota della vita della Bielorussia.
Interessanti, soprattutto per i bambini, le esperienze sensoriali di Slow Food: con tatto e olfatto bisognava indovinare legumi, erbe e spezie contenuti in alcune piccole scatole chiuse. Ho riconosciuto quasi tutte le spezie, molte delle quali che non uso mai in cucina, ma sono veramente rimasta male quando ho scambiato l’origano per il rosmarino.
Infine, sono entrata al Future Food District. Un supermercato del futuro dove, se si toccava un prodotto, nel display di fronte si potevano leggere le informazioni dello stesso: dalla composizione al costo, dai valori nutrizionali all’impatto ambientale. Uno spazio di Expo dove si poteva veramente fare la spesa.
I miei due giorni a Expo si sono conclusi al Lake Arena. Le foto e i video dell’Albero della Vita parlano da sé, ma essere lì ad assistere allo spettacolo è stato davvero emozionante.
Oggi di Expo 2015 rimane la Carta di Milano, un documento partecipato e condiviso che invita cittadini, imprese, associazioni e istituzioni ad assumersi le proprie responsabilità per garantire il diritto al cibo alle generazioni future.
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Commenti
Splendido post e ottima recensione, grazie alle tue foto mi sembra di essere tornato nuovamente all’Expo. È stata veramente un’occasione e un’emozione unica, irripetibile. Uno dei padiglioni che però mi ha incuriosito di più è quello della East Cerasia, fortunatamente anche privo di coda per l’ingresso. Grazie!