La mia mamma mi ha dato alla luce il 3 luglio scorso in un caldo sottotetto buio e polveroso. Per dodici giorni mi ha coccolato, mi ha allattato, mi ha pulito. Stavo bene con lei. Poi un giorno non è più tornata da me. Per diverse ore sono stato solo in quel luogo angusto. La mia mamma mi aveva nascosto da tutti, lei accedeva da uno stretto passaggio segreto sotto una tegola del tetto. La sera del 15 luglio hanno fatto dei buchi nel muro del sottotetto per trovarmi, ma in prossimità di quei buchi non mi hanno trovato. Mi chiamavano, poi stavano in silenzio per cercare di capire da dove provenisse qualche mio rumore. Io ero immobile e silenzioso, forse stavo dormendo. Poi in uno di quei buchi è stato fatto passare Socket che ha percorso il tunnel del sottotetto e mi ha raggiunto. La sua calorosa vicinanza mi ha svegliato e ho iniziato a piangere. Allora hanno capito dove fossi nascosto e hanno spaccato il muro in prossimità del mio pianto. Una mano mi ha preso in braccio e mi ha avvolto in un panno morbido. Da quel momento ho iniziato a calmarmi, non ero più solo. Da quel momento per me è cambiato tutto, è iniziata una nuova vita. Ho dovuto imparare a bere il latte dal biberon, ho imparato a stare in braccio e farmi cullare, ho imparato a farmi pulire il sederino, ho imparato a dormire avvolto in una morbida copertina in una scatola di cartone, ho imparato a convivere con le pulci che la mia mamma mi ha lasciato. A poco più di tre settimane ho aperto gli occhi e le orecchie e ho visto i volti e sentito le voci di chi si è preso cura di me. A quattro settimane ho iniziato a fare i primi passi. A un mese ho iniziato a mangiare le prime pappe e a fare i miei bisogni da solo. La cosa che più mi manca della mia mamma è una sua tetta per ciucciare. Da quando lei non c’è più ciuccio la mia zampina sinistra quando mi prendono in braccio. E mi addormento ciucciando, proprio come facevo con la mia mamma. Ora ho quasi un mese e mezzo e cresco felice insieme alle persone che mi hanno salvato la vita e al mio papà Socket. Mi chiamo JavaScript, in ricordo della mia mamma che si chiamava Java, investita da una macchina troppo presto.